Il virus della manipolazione
Esistono determinate situazioni, dove scattare una fotografia è eticamente difficile.
Ma siamo davvero certi che non farlo non lo sia ancora di più?

L’etica in fotografia
In merito a cosa sia etico e cosa non lo sia in fotografia, si è dibattuto a lungo ed in ogni sede possibile. Ma ogni momento di riflessione ed incontro su questo spinoso argomento, è il benvenuto.
Ma come dovrebbe essere l’atteggiamento di un fotogiornalista? Sicuramente risponderemmo intellettualmente onesto. Ma se ci fermiamo un attimo a ragionare e soprattutto ad espandere questo concetto, ci accorgeremmo subito che essere oggettivi in fotografia semplicemente non è possibile.
Pensate soltanto alla porzione di scena che includiamo nelle nostre fotografie, ai nostri movimenti che ne determinano le porzioni ritratte. Oggetti inclusi, oggetti esclusi.
Se a questo aggiungiamo il mettersi al servizio di un “padrone” che potrebbe incarnare un potere, ecco che immediatamente alcune nostre convinzioni iniziano a sgretolarsi ed una parola inizia a farsi largo: propaganda.
Il “dovere etico” termina con la realizzazione della fotografia da parte del fotografo? Se credete questo mi dispiace contraddirvi ma non è così, anzi. Esiste una vera e propria catena che parte dal fotografo e continua con una delle figure più controverse, quella del photo editor.
Pensate soltanto quanto può incidere sul senso complessivo di una storia, la scelta finale delle fotografie da parte del photo editor, ed a quanto queste e scelte possano condizionare, inoltre, la condotta di un fotografo nella realizzazione del suo lavoro.
Pensate a quanto determinate scelte stilistiche di sviluppo delle fotografie, possano fare da veicolo emotivo in chi determinate scene osserva con attenzione, il quale inoltre, dovrà necessariamente fare i conti con i propri pregiudizi, la propria cultura. Basta osservare con attenzione, il susseguirsi di determinate fotografie vincitrici nelle varie edizioni del World Press Photo.
Pensate all’editore che detta la linea “politica” da seguire.
Pensiamo, infine, alla frase del grande Eugene Smith: “Let truth be the pregiudice“, ovvero, abbiate la verità come pregiudizio…
La storia, passata e recente, è ricca di testimonianze in cui il confine tra cosa sia etico fare e cosa non lo è, in fotografia è stato ampiamente oltrepassato. Gli esempi sotto riportati, celebri e meno celebri, rappresentano solo alcuni degli episodi più interessanti che, nel corso degli anni, hanno contribuito a generare le più accese discussioni.
L’esempio della fotografia del TIME con OJ Simpson
DESCRIZIONE:
Nel giugno del 1994, nel bel mezzo del processo per omicidio di OJ Simpson, sia la rivista TIME che Newsweek presentavano la foto segnaletica di Simpson sulle loro copertine.
LA REALTÀ:
Le due riviste successivamente sono state affiancate in edicola. Il pubblico ha subito visto che la copertina del TIME aveva notevolmente scurito la pelle di Simpson. La foto, che rappresenta un caso già intriso di tensioni razziali, ha causato una massiccia protesta pubblica.
L’editore della rivista ha fornito una dichiarazione pubblica su America Online, sostenendo che “non era prevista alcuna implicazione razziale, né dal TIME né dall’artista“. Nelle edicole, l’edizione è stata silenziosamente sostituita dall’immagine inalterata.
Il fotoillustratore Mat Mahurin, a cui è stata data l’immagine da “Interpretare“, ha affermato che le sue modifiche non avevano alcun movente razziale. “Ma proprio come un regista di scena abbasserebbe le luci su una scena cupa“, ha ricordato in un libro successivamente pubblicato sulla storia della rivista TIME, “ho usato il mio stile consolidato per dare all’immagine un tono drammatico“.

L’esempio della fotografia di Paolo Pellegrin tratta dal reportage “The Crescent”
DESCRIZIONE:
Questa foto è tratta da un reportage di Paolo Pellegrin intitolato “The Crescent. Rochester, USA“, che ha vinto premi partecipando al World Press Photo ed al Picture of the Year International nel 2013.
Le descrizioni della serie disponibili sul sito sono: “Il gruppo di quartieri svantaggiati noto come Crescent, intorno al confine settentrionale del centro di Rochester, nello Stato di New York, USA, sono rinomati per i loro alti tassi di criminalità e omicidi“.
La didascalia, originariamente pubblicata con questa foto sul sito di WPP (da allora è cambiata), diceva: “Un ex cecchino della Marina degli Stati Uniti con la sua arma. Rochester, New York, USA 2012“.
LA REALTÀ:
Apparentemente la fotografia non è stata scattata nel quartiere di Crescent, come ha affermato il fotografo. Il soggetto in foto, Shane Keller, ha contattato la stampa, affermando “non sono mai stato un cecchino e non l’avrei mai detto” e che “viveva in un quartiere molto sicuro” che non faceva parte del Crescent.
Keller ha inoltre messo in dubbio l’etica di Paolo Pellegrin. Ha anche trovato strano che abbia rifiutato ulteriori informazioni su di lui, come addirittura il suo nome.
Le dichiarazioni del fotografo sono state “Non capisco di cosa si tratta … Ho dimenticato il suo nome … Quello che ricordo è che era un ex soldato“. Pellegrin afferma, inoltre, che le informazioni per il progetto sono state presentate da un assistente e non avrebbero mai dovute essere pubblicate.
Sia il WPP che il POY, hanno confermato i premi al fotografo. Il WPP ha rilasciato la seguente dichiarazione sulla loro decisione: “La giuria è del parere che non è stata fondamentalmente fuorviata dalla fotografia nella storia o dalla didascalia che è stata inclusa con essa“.
Rick Shaw, direttore di POY, ha dichiarato inoltre che la sua organizzazione “rispetta l’integrità di tutti i fotoreporter” e “non presumerà alcun errore di etica né esaminerà alcuna situazione finché non avremo una dichiarazione di posizione dal fotografo e rivedremo tutte le accuse“.

L’esempio della fotografia di Paul Hansen
DESCRIZIONE:
Il fotografo svedese, Paul Hansen, ha vinto il premio World Press Photo of the Year 2013 per questa fotografia . La foto è pubblicata sul sito WPP con la seguente didascalia: “I corpi di Suhaib Hijazi di due anni e di suo fratello maggiore Muhammad, quasi quattro, vengono trasportati dai loro zii in una moschea per il loro funerale, a Gaza City. I bambini sono stati uccisi quando la loro casa è stata distrutta da un attacco aereo israeliano il 19 novembre. L’attacco ha anche ucciso il padre, Fouad, e ferito gravemente la madre e altri quattro fratelli“.
LA REALTÀ:
A causa dei colori intensi e dell’illuminazione nella foto, Hansen è stato accusato di aver falsificato questa immagine attraverso l’uso di Photoshop. il WPP ha inviato il file dell’immagine ad un esperto per un’analisi forense il quale è stato in grado di “confermare l’integrità” della fotografia di Hansen, sostenendo di non aver trovato “alcuna prova di manipolazione o composizione di foto significative“.
Hansen ha affermato che nel processo di post-produzione è intervenuto sul fronte del toning, e di aver bilanciato la luce, a suo giudizio irregolare, nel vicolo, “in effetti, per ricreare ciò che l’occhio vede e ottenere una gamma dinamica più ampia“. Molti altri, credevano che la sua manipolazione con Photoshop, avesse ottenuto l’esatto contrario.
Sebbene il WPP abbia confermato la sua decisione, la controversia che circonda la foto ha scatenato molte discussioni su queste tecniche di sviluppo digitale. Nell’opera di Allen Murabayashis “Perché i vincitori del concorso fotografico sembrano poster di film?” su PetaPixel, uno dei principali blog di fotografia, scrive che la foto di Hansen “sembra un’illustrazione”. Murabayashi continua: “Quando le immagini smettono di sembrare reali e di essere eccessivamente ritoccate, abbiamo un problema di veridicità. E se sottoscriviamo l’ethos comune del fotogiornalismo (cioè che stiamo cercando di non ingannare lo spettatore), allora abbiamo un problema sempre più enigmatico“.
Potrei aggiungere che se una scena è drammatica in partenza, non lo è mai abbastanza per alcuni canali di informazione.

L’esempio della fotografia di Brian Walski
DESCRIZIONE:
La fotografia, scattata nei primi giorni dell’invasione dell’Iraq, mostra un soldato britannico che avverte un gruppo di civili iracheni di mettersi al riparo dal fuoco nelle vicinanze. Pubblicata per la prima volta sul frontespizio del Los Angeles Times, l’immagine è stata pubblicata anche sul Chicago Tribune e sull’Hartford Courant. La didascalia pubblicata sul Los Angeles Times del 31 marzo 2003 recita: “Avvertenza: un soldato britannico che controlla il ponte Azubayr ordina ai residenti in fuga di Bassora di colpire il suolo mentre le forze irachene aprono il fuoco“.
LA REALTÀ:
La foto pubblicata è una composizione di due immagini separate l’una dall’altra. Dopo che l’Hartford Courant ha pubblicato l’immagine, un impiegato della Courant ha notato una duplicazione di civili sullo sfondo. Il Los Angeles Times ha affrontato Brian Walski, il quale ha confessato di aver unito digitalmente le due fotografie per modificare la composizione.
Walski è stato licenziato per aver violato il codice etico del giornale. In una scusa al Times, Walski ha detto: “Ho sempre mantenuto i più alti standard etici per tutta la mia carriera e non posso davvero spiegare il mio errore di giudizio in questo momento“.
“L’immagine ampiamente pubblicata di un soldato britannico armato e di civili iracheni sotto il fuoco ostile a Bassora, sembra mostrare il soldato che fa cenno ai civili, esortandoli a cercare riparo, mentre un uomo in piedi che tiene un bambino in braccio, sembra guardare il soldato implorante. È il tipo di foto che vince un Pulitzer“. The Washington Post.



L’esempio della fotografia di Eugene Smith
DESCRIZIONE:
Questa fotografia, “Spanish Wake“, cattura una scena intima sulla morte di un abitante di un villaggio. Nella rivista LIFE era sottotitolato: “Sua moglie, sua figlia, sua nipote e i suoi amici fanno la loro ultima visita terrena ad un abitante del villaggio“.
Questa immagine fa parte del repoatage di Eugene Smith dal titolo “Spanish Village“, pubblicato sulla rivista LIFE nel 1951. L’iconico set di foto raffigurava il piccolo villaggio rurale di Deleitosa, in Spagna, sotto il governo del dittatore Francisco Franco.
LA REALTÀ:
Nella fotografia originale, due delle donne stavano guardando verso il fotografo. Intervenendo in camera oscura, Smith ha reso i loro occhi molto più scuri e ha applicato uno sbiancante, con un pennello a punta fine, per creare nuove aree bianche, reindirizzando i loro sguardi verso il basso e di lato, alterando l’atmosfera della foto. Eugene Smith ha ammesso l’utilizzo di una messa in scena del ritocco, durante una riunione dell’American Society of Magazine Photographers nel 1956, sostenendo che: “Chiedo e organizzo se lo ritengo legittimo. L’onestà sta nella mia capacità di capire”.

L’esempio delle fotografie di Giovanni Troilo
DESCRIZIONE:
Queste due foto fanno parte di “The Dark Heart of Europe“, un reportage vincitore al World Press Photo 2015. La serie ha cercato di illustrare “il crollo della produzione industriale, l’aumento della disoccupazione, l’aumento dell’immigrazione e lo scoppio della micro-criminalità” nella città di Charleroi, vicino a Bruxelles.
REALTÀ:
La prima fotografia ritrae una coppia anonima che fa sesso in automobile. E’ stata messa in scena. Mettere in scena una foto, viola una delle etiche fondamentali del fotogiornalismo, che si basa sull’acquisizione di eventi reali mentre accadono.
I giudici del WPP, alla fine, hanno revocato il premio dopo che sono emerse numerose altre denunce e un vero e proprio tumulto è seguito nella comunità dei fotografi fotogiornalisti. Un’altra foto della serie, la foto con le modelle nude, è stata scattata a Bruxelles, non a Charleroi, come originariamente affermato nella didascalia. Il sindaco di Charleroi e molti altri, si sono lamentati del fatto che le foto di Troilo non rappresentassero assolutamente la città.
Il WPP ha squalificato il 20% dei finalisti nel concorso 2015 per manipolazione, messa in scena e alterazione delle foto in vari modi. “C’è stata un’enorme quantità di manipolazione nel penultimo round. La giuria è rimasta davvero scioccata ”, ha detto un giurato.
“La decisione di revocare il premio è arrivata il giorno dopo che un importante festival di fotogiornalismo, Visa Pour L’Image, aveva dichiarato che quest’anno non avrebbe mostrato alcuna fotografia del World Press Photo, per protestare contro ciò che si diceva fossero foto messe in scena. Chiunque con un account Instagram, può diventare un reporter de facto, la controversia solleva domande su ciò che gli spettatori dovrebbero sapere sulle foto classificate come giornalismo – e dove uno dei premi fotografici più rispettati al mondo traccia il confine tra fotografia documentaria e fotografia d’arte“. The New York Times.

